MASSIMO
Pesca in Apnea
MASSIMO
Pesca in Apnea
L'estate è finita, quest'anno nel nord della Sardegna, i dentici arpionati sono stati veramente pochi e la maggior parte delle catture si sono avute a giugno, quando questi pesci erano da poco entrati sulle secche più profonde. Luglio e agosto, invece, sono stati due mesi poveri, la causa è da ricercare nella mancanza del termoclima. L'acua molto calda fino a fondale e il rumore provocato dalle innumerevoli imbarcazioni, hanno tenuto i predatori al di fuori delle mie quote operative, a traina li pescavano attorno ai 40 metri. Settembre, speravo in un mese ricco di incontri, ma il tempo inclemente, con molte perturbazioni da nord, ha sfasato tutto, creando correnti forti come fiumi in piena e sbalzi continui di temperatura, che hanno condizionato, non poco, il comportamento dei pochi dentici. Ottobre e Novembre, l'acqua calda,grazie a una stagione splendida, ha fatto si che tutto il pesce si concentrasse nei primi metri, la frega delle salpe, poi, ha invogliato ancora di più i predatori a salire verso la superficie per procurarsi un pasto a buon mercato. Sto pescando all'agguato con lo schienalino da tre chili. Il sole è alle mie spalle, sono riuscito a catturare due o tre saraghi strisciando in pochi metri di fondo, all'ennesimo agguato, un muro di salpe mi avvolge quasi a corteggiarmi, lente, mi sfiorano davanti, ne noto alcune con la coda sfillacciata, altre mostrano sulla schiena i fori inconfondibili della “graffettatrice”. Continuo lento a muovermi tra i sassi, cercando di vedere oltre, all'improvviso la calma si interrompe, le salpe si aprono terrorizzate, lasciandomi completamente scoperto alla vista di un enorme testone che mi punta deciso. Riesco appena a correggere l'allineamento dell'arbalete a premere il grilletto. L'asta colpisce il dentice dietro le branchie. Il pesce rimane un attimo immobile, forse l'ho fulminato, invece no, lentamente si inarca, spalanca la bocca quasi a voler mostrarrei denti, per esplodere subito dopo in tutta la sua potenza. Il primo colpo della sua reazione mi piega l'asta a ferro di cavallo (ancora lo conservo per ricordo), il secondo le spezza alla prima tacca di aggancio. Incredulo, rimango a guardare l'enorme dentice, sicuramente il più grosso cui abbia sparato, che, visibilmente stremato, lentamente si allontana. Il tutto si è consumato nell'arco di pochi secondi, ma l'intensità dell'emozione sembrava aver influito sul normale scorrere del tempo, in pochi istanti ho memorizzato una quantità incredibile di particolari, rivedevo perfettamente, sul dorso violaceo, la trama disegnata dalle grosse squame, l'insolita, gibbosità del cranio, lo sguardo grintoso, quasi feroce, del predatore, ma sopratutto mi è rimasta impressa l'intensità dei colori del pesce esaltati dalla luce del bassofondo. Ho mancato la possibilità di realizzare una cattura eccezionale, sono dispiaciuto, ma non deluso, in qualche modo mi sento appagato dall'intensità, delle emozioni provate, allo stesso tempo mi sento completamente svuotato, infatti poco dopo smetto di pescare, impossibile trovare la giusta concentrazione. Alcuni giorni dopo le condizioni climatiche si ripetono, ritorno nella stessa zona con la nascosta speranza... no, certe cose non possono ripetersi, meglio essere realistici. Il mare calmo favorisce l'azione di pesca, anche se mi ci vuole un bel po' di tempo prima di rilassarmi ed essere abbastanza silenzioso. Mentre “serpeggio” fra i sassi del fondo, sono a 4 metri, intravedo la sagoma inconfondibile di un dentice che, abbagliato dal sole, mi sfila sulla sinistra, il mio cuore sembra essersi fermato, forse per l'emozione o forse per il timore che il pesce possa avvertirne il battito, un sassone mi permette di anticiparlo nel suo tragitto e, appena sbuca con la testa al di la della roccia, premo il grilletto. Il tiro è lungo, il dentice, colpito in un punto non vitale, mi srotola alcuni metri di sagolino, poi cerca di liberarsi dall'asta, infilandosi sotto a un lastrone. Ancora non riesco a crederci, contro ogni probabilità l'incredibile si è ripetuto! Ma questa volta sono ben deciso a non lasciarlo scappare. Seguendo la sagola mi precipito nella tana, che rimbomba per i colpi di coda. Lo sento sbattere vicinissimo, ma a causa del polverone non riesco a individuarlo, d'improvviso mi piomba addosso, con terrore mi accorgo che si è liberato dell'asta, cerco di afferarlo in qualche modo, ma inesorabilmente mi sguscia fra le mani, penso di averlo ormai perso. Invece solo adesso mi accorgo che sbattendo il pesce è finito in sagola, e adesso è lì, inesorabilmente legato dal monofilo. Mentre lo riporto in superficie non posso fare a meno di pensare al detto: “il mare dà, il mare toglie”. E il dentice, di quasi nove chili e mezzo, è ormai fra le mie mani! Dicembre inoltrato, ormai il tempo è instabile, e le giornate, sempre più corte, hanno fatto sensibilmente raffreddare l'acqua. Il pesce, sballottato dalle innumerevoli mareggiate, stenta a farsi trovare. Sto pescando a staffetta in compagnia dell'amico Gianfranco Donati, abbiamo ormai battuto diverse miglia di costa, con poca fortuna. Arrivati in prossimità di una punta mi accorgo che le condizioni di corrente e limpidezza dell'acqua, sono mutate. La minutaglia è molto meno nervosa, le castagnole nuotano più tranquille e non “schizzano” come prima, al minimo rumore. Ho appena posato la mano su una guglia affiorante, quando mi accorgo che, a una decina di metri, una discreta orata sta pascolando pigra. Alcuni attimi di riflessione per studiare il percorso più coperto, che mi permetta di avvicinarla senza farmi sentire. Scelgo di lasciarmi scivolare lungo la lingua di roccia, fiducioso di poter intercettare la sua rotta. Perdo per alcuni istanti il contatto con la preda, spero di aver calcolato bene il suo tragitto. Come un gatto con il piccione, mi affaccio lento, pronto a premere il grilletto. Stupito, mi ritrovo davanti un intero branco di circa quindici orate, tutte di buona taglia. Incuriosite, iniziano lentamente a avvicinarsi. La prima a venire a tiro è un pesce di un paio di chili, ma la mia attenzione è tutta rivolta sull'esemplare più grosso del branco. Alzo lentamente la punta della tahitiana e, senza esitare, premo il grilletto. L'orata di 3 chili e mezzo, trafitta dalla testa alla coda, rimane allo spiedo. Gli altri esemplari si buttano spaventati attorno ai massi nella baia alle mie spalle. Velocemente infilo l'orata nel porta pesci e, ricaricato il fucile alla prima tacca, inizio a cercare attorno ai sassi, quando intravedo una coda infilarsi in tana. Frenetico scendo e mi affaccio allo spacco, davanti a me l'orata è immobile, il resto potete immaginarlo da soli. Ah! Dimenticavo, era 2 chili e mezzo! Siamo alla fine di gennaio, l'acqua, ormai fredda, ha impoverito tutto il sottocosta, l vento gelido di grecale fa ghiacciare lo schienalino, trasmettendo fastidiosi brividi sulla schiena. Da un paio d'ore sto inutilmente cercando spigole nella schiuma, prima di rientrare mi gioco l'ultima carta, visto che l'acqua è particolarmente limpida e che Gianfranco si offre di farmi da barcaiolo, decido di tentare un tuffo su una secca, qua fuori, dove, in estate, ho preso spesso delle belle corvine. L'acqua è fredda, ma dalla superficie vedo perfettamente il sommo della secca a 12 metri sotto di me. La prima impressione non è delle migliori, completa assenza di vita. Con poco entusiasmo faccio la capovolta, scendo, mi appoggio in 20 metri e rimango sorpreso dalla temperatura dell'acqua più calda, di poco, ma più calda. Con mia grande sorpresa vedo in lontananza alcune ombre che iniziano ad avvicinarsi veloci. Arrivate a una decina di metri inverto la rotta, allontanandosi pigre. Risalito a galla avverto Gian di spegnere il motore, perchè strano, ma vero, ci sono i dentici in branco, tutti esemplari grossi. Preparo con cura il tuffo, cercando di lasciare il sole alle mie spalle, ultimo respiro profondo e... giù. Faccio fatica a vincere la spinta positiva della giacca da 8 mm, ma superati i 10 metri, precipito trascinato dai 7 chili in cintura. Mi appoggio alla base della secca, in poco meno di 25 metri, mi nascondo in una zona fra roccia e posidonia. Il branco non tarda a farsi vedere, sono tranquilli e sono tanti. I primi pesci sembrano sui tre/quattro chili, ma dietro, più lenti, ci sono i “mostri”. Immobile, attendo di capire quale sarà il primo a partire. Eccolo, è lui, è rimasto per un poco nelle retrovie a osservarmi indifferente, poi, senza esitare, mi punta deciso. Arrivato quasi a tiro rallenta, quell'ultimo metro che ancora mi manca per essere sicuro di passarlo con il 100, sembra interminabile, ma lentamente, il dentice continua ad avvicinarsi. L'asta parte e colpisce il pesce a centro corpo, la reazione violenta mi costringe a filare alcuni metri dal mulinello, sperando nella tenuta dell'aletta. Lo metto in trazione e impedisco al pesce di intanarsi staccandolo di forza dal fondo. A galla lentamente recupero la sagola, chiamo Gianfranco che prontamente arriva a recuperarmi, sollevo dall'acqua il pescione di 8 chili, impugnando l'asta a due mani. Mi sembra incredibile, un branco di dentici a gennaio attorno a una secca, proprio come ci si aspetterebbe in piena estate. Il mare non finisce mai di stupirmi!
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