MASSIMO
Pesca in Apnea
MASSIMO
Pesca in Apnea
Uno sportivo realizzato grazie alla pesca in apnea
“Dopo il trauma dell’addio al calcio ho scoperto un mondo meraviglioso”
MASSIMO QUATTRONE è uno sportivo realizzato. Ha trovato la sua dimensione umana e la vive con entusiasmo. Dai tuffi sui prati erbosi a quelli nelle acque trasparenti della Sardegna. Massimo ha sognato per anni di difendere la porta di una grande squadra di calcio, con il suo fisico atletico, con la sua caparbietà ligure, con quello spirito rivolto all’orizzonte che è tipico della gente di mare. Un passaggio traumatico, fatto di vertebre incrinate e di ernia discale. Sono stati anni d’interrogativi, di scontri e d’incontri con i ricordi del passato, quelli legati alla famiglia, a quel papà che da ragazzino lo accompagnava a Framura, dove l’acqua nascondeva i suoi segreti. Nell’88 conosce Gianfranco Donati del Circolo Subacqueo di Chiavari e lo segue in Sardegna. Inizia un dialogo che troverà conferma in futuro, quando ormai stanco della riabilitazione in piscina cercherà nel mare le sue risposte, in quei fondali che diventeranno il suo regno ideale. In fondo al mare scopre la sua identità e il passato scompare con le sue angosce, le sue ansie e le sue paure. A diciotto anni conosce Armando Lombardi, istruttore di Academy, e con lui inizia la fase dei tuffi profondi. Inizia un percorso atletico molto importante, la condizione essenziale per poter diventare “il professionista del mare”. Insieme a campioni come Carbonell, Gospic, Calcagno e Tortorella sfida le profondità marine, con la forza dei suoi polmoni, per vivere. Sulla sfida quotidiana col pesce Massimo ha costruito la sua vita. Lontano dalla sua Lavagna si è costruito una fama che tocca ormai il mondo mediatico. L’uomo e il mare s’incontrano ogni giorno, d’estate e d’inverno, col caldo e col freddo. Un modo diverso di praticare sport? Forse sì. In palio non c’è una medaglia, ma la sopravvivenza. In questa lotta quotidiana col pesce si esprimono le doti atletiche di un personaggio che ha vinto la sua sfida con la vita, quella stessa vita che in un lontano giorno di primavera gli aveva girato le spalle.
Massimo, la sua vita sportiva ha conosciuto momenti ed emozioni diversi, prima il calcio, poi le profondità marine.
“Fin da piccolo, grazie a mio padre, ho avuto due grandi passioni, il calcio e l’attività subacquea. Giocando a pallone mi sono procurato una lesione vertebrale, con un’ernia che non mi ha più permesso di praticare il calcio ad alto livello, quindi ho dovuto trovare un’attività che mi permettesse di star bene fisicamente e mentalmente. Sentivo che il mio fisico richiedeva movimento. Se non lo avessi ascoltato sarei aumentato di peso e non sarei riuscito a star bene con me stesso. Per fortuna il mare mi ha aiutato a ritrovare il giusto equilibrio. In Liguria era assolutamente impensabile poter praticare un’attività come la pesca subacquea, perchè c’erano difficoltà di tipo logistico, non c’era ad esempio la possibilità di tenere un gommone in porto, perché il porto di Lavagna non permette questo e quindi ho deciso di trasferirmi in Sardegna. Perchè proprio in Sardegna? Perché da ragazzino, quando nel periodo estivo non giocavo a pallone, frequentavo il Circolo di Chiavari con Gianfranco Donati, un appassionato di pesca subacquea. Lì ho trovato un mondo diverso, più a misura d’uomo. Il mare era stupendo, quindi ho iniziato a praticare la pesca subacquea in apnea, sull’onda di un’affettuosissima cultura paterna, vissuta da ragazzo tra le scogliere di Framura”.
Lo sport ha permesso di dare un nuovo senso alla sua vita?
“Lo sport aiuta, perchè crea quegli equilibri essenziali che consentono di stabilire il giusto rapporto tra attività del corpo e della mente. La pesca subacquea è una passione che crea benessere, perchè è appagante. Il contatto con il mare è davvero qualcosa di straordinario. E’ come entrare in un altro mondo, completamente diverso da quello cui siamo abituati, lasciando fuori dalla porta d’ingresso tutte quelle problematiche che sono diventate il nostro fardello quotidiano. Il contatto con l’acqua, durante l’immersione, è un ritorno alle origini, è ritrovare i silenzi e i movimenti inconsci all’interno del ventre materno. Nelle profondità si è soli con il proprio io. Il contatto col mare permette di recuperare la propria identità. E’ un ritorno alla condizione animale dell’essere umano, un animale che con la sua intelligenza diventa capace di conoscersi, di percepirsi, di valutarsi, di collocarsi all’interno di quel meraviglioso ecosistema che è la natura. Nella società di oggi è difficile fermarsi un attimo e prendere coscienza del proprio essere, perchè il progresso è diventato padrone del nostro tempo e del nostro pensiero”.
Il mare libera la sfera dei sentimenti, restituisce emozioni?
“Senza dubbio. In mare si ha la possibilità di rimanere con se stessi in una condizione psicologica ottimale. Si ha tutto il tempo per ricostruire quelle emozioni e quelle sensazioni che abbiamo dentro, ma che, in molti casi, non riusciamo più a liberare. Per poter predare un animale del mare occorre tornare alla condizione animale, è necessario attivare quel procedimento empatico che si utilizza di solito nel campo della conoscenza comportamentale umana”.
Scendere a oltre trenta metri di profondità in apnea per pescare comporta una preparazione atletica ottimale.
“Apnea è sport nel vero senso della parola. Cosa significa? Significa curare in modo particolare l’alimentazione e l’attività fisica, cioè l’allenamento. Per poter andare in mare bisogna essere allenati, occorre frequentare scuole che preparino l’atleta a conoscere le proprie capacità fisiche, le tecniche di approccio al mare e alle sue profondità, stabilire un giusto equilibrio tra potenzialità corporee e mentali. Nulla deve essere lasciato al caso o ad una passione irrazionale, tutto deve essere fatto nel pieno rispetto di regole comportamentali molto precise”.
La pesca è sempre una sfida, una sfida ancora più interessante se la predazione ha come fine quello di procacciarsi il cibo per vivere.
La pesca subacquea impone delle regole che sono le regole dello sport. La sfida non è così scontata come qualcuno potrebbe credere, infatti anche nel comportamento animale c’è stata una evoluzione, non siamo più ai tempi del sale sulla coda. Quando i subacquei s’immergono con le bombole e portano con sè una sardina per favorire l’incontro, arrivano tutti i pesci di questo mondo. Come un sub entra in acqua in apnea, con una tuta nera, le pinne lunghe e non ha addosso qualcosa che emetta bolle o che faccia rumore, ecco che tutto il mondo sommerso cambia. I pesci tengono le distanze e adottano comportamenti preventivi, come se percepissero il pericolo. Se poi il pescatore porta con sé l’arbalete, ecco che improvvisamente la distanza di sicurezza aumenta. Sono convintissimo che gli animali abbiano una loro intelligenza. Il momento topico della sfida è il calo del livello di attenzione del pesce. Si verifica quando ha la pancia piena. Un po’ quello che succede all’uomo subito dopo aver mangiato, quando i riflessi si abbassano fino alla tradizionale pennichella. Nelle profondità occorre saper valutare con prontezza ogni situazione, l’attenzione deve essere sempre al top”.
Come si diventa pescatori professionisti?
“Quando sono arrivato a Santa Teresa di Gallura ho dovuto mettermi in regola. In Italia, a differenza di altri paesi europei, esiste la figura del pescatore professionista in apnea. La Regione Sardegna mi ha dato la possibilità di diventare una figura professionale, anche se questo riconoscimento ha un valore limitato e relativo. In molti parchi italiani, infatti, è consentita la pesca professionale, mentre quella in apnea non è consentita. Su questo tipo di problema sono solo a combattere contro i mulini a vento, è pressochè impossibile trovare un interlocutore che cerchi di capire quali siano le tue necessità e i tuoi bisogni. La pesca subacquea è una delle poche attività ecocompatibili, perchè il pescatore subacqueo in apnea è l’unico che riesce a vedere istantaneamente la preda. Non riesco a capire come nel parco di Portofino siano stati concessi duecento permessi di traina scientifica. Mi sembra assurdo parlare di traina scientifica. L’unico che può compiere un gesto scientifico è il biologo. Chi, come me, vive di pesca subacquea nota il livello d’inquinamento dei mari. Le acque sono sempre più torbide, la temperatura del Mediterraneo si sta alzando. Praticare attività subacquea significa avere il polso della condizione ambientale, essere degli osservatori costanti delle variabili che determinano i cambiamenti degli ambienti marini”.
Lo sport dà un contributo alla scienza.
“Esattamente. Praticare sport all’interno del mare permette di prendere coscienza del suo stato di salute e di come la natura si evolva. Oggi siamo in grado di convivere con quel mondo sottomarino che per secoli ha scatenato l’immaginario collettivo, possiamo viverlo e studiarlo, prendere atto dei suoi repentini cambiamenti. Il pescatore, nel suo rapporto quotidiano col mare, accumula un’esperienza che può aiutare la scienza, senza avere la presunzione di prevaricarla”.
Cosa si sente di dire a quei giovani che vorrebbero praticare il suo sport?
“Stare bene fisicamente è il requisito fondamentale, con le dovute eccezioni. Ci sono stati campioni di pesca subacquea poliomelitici, avevano perso l’uso di una gamba. Mi viene in mente Amengual, che è un campione spagnolo che si è ritrovato ragazzino con un grosso handicap. Non poteva giocare a pallone e non si poteva cimentare con le attività sportive tipiche dei giovani della sua età, così un giorno ha deciso di provare ad andare in acqua ed è diventato un campione. La pesca subacquea in apnea ha anche una funzione terapeutica. Aiuta a stare bene mentalmente e fisicamente, perchè appaga”.
Lo sport può cambiare in meglio la società in cui viviamo, può essere un valido aiuto per quei giovani che si trovano in difficoltà?
“Prendiamo esempio dagli Stati Uniti d’America, che hanno messo all’interno di tutte le scuole l’attività sportiva, con protocolli molto validi e ben organizzati, per raggiungere obiettivi mirati. Nelle nostre scuole all’educazione fisica è riservato uno spazio minimo, si parla di un’ora, massimo due, con protocolli del tutto inadeguati. In America i giovani che si distinguono nello sport ricevono borse di studio, sono incentivati, escono dalle scuole con vocazioni abbastanza mature. In Italia purtroppo a scuola è impossibile praticare sport o comunque fare attività fisica ad un certo livello. I bambini fanno orario continuato, di sport effettivo ne praticano due ore alla settimana: è una cosa assolutamente assurda. Come si può pretendere che un bambino, nell’età dello sviluppo, con una muscolatura in fase di formazione, possa rimanere seduto immobile e tranquillo per otto ore al giorno?”.
Se nella scuola si insegnassero le tecniche respiratorie dell’apnea i giovani trarrebbero dei vantaggi. Il controllo della respirazione restituisce benessere e rilassamento, elementi fondamentali per l’attenzione e la concentrazione.
“L’introduzione delle tecniche di controllo della respirazione migliorerebbe la dimensione fisio-psico-attitudinale degli alunni e dei professori e contribuirebbe a creare un sistema comunicativo e relazionale più disteso ed equilibrato. L’aggressività, in molti casi, nasce proprio dalla mancanza di attività sportive mirate, che restituiscano concentrazione e benessere. Conoscere bene se stessi e conoscere le proprie reazioni aiuta la persona a vivere una buona vita sociale e di gruppo. L’apnea insegna a conoscersi, è un viaggio nel nostro io, educa a controllare gl’istinti e le reazioni”.
Le istituzioni dovrebbero approntare dei piani educativi adeguati ai mutamenti sociali.
“Un tempo molti aiuti non c’erano, mancava la figura dello psicologo sportivo e mancavano soprattutto delle figure di riferimento che nei paesi dell’Est europeo e in Unione Sovietica, in particolare, erano già estremamente operative sia sul piano formativo della persona che su quello prettamente sportivo. Credo molto nella psicologia applicata allo sport”.
Cosa prova quando è solo con se stesso nelle profondità del mare?
“La prima grande emozione è il progressivo allontanamento dalla civiltà, dai suoi ritmi frenetici, dai rumori. Il movimento, nell’ambiente liqueo, diventa più lento e procura uno stato di grande benessere fisico e mentale. Sott’acqua c’è un mondo costruito con una miriade di colori diversi ed è abitato da un’infinità di creature dalle forme affascinanti e stupefacenti. Il mare insegna quanto l’evoluzione degli animali sia andata avanti rispetto a quella fisica dell’uomo. Il delfino, ad esempio, nuota nell’acqua e sembra proprio che non faccia nessuno sforzo, mentre il sub ha le pinne lunghe, cerca di muoversi, fa una fatica incredibile e raggiunge risultati minimi. Tutto questo ci fa rendere conto di come gli animali del mare siano delle macchine perfette, basta osservare lo squalo”.
I giovani non sanno più apprezzare il mare? Che cosa si può fare affinché i ragazzi riscoprano le sue bellezze e i suoi segreti?
La cosa più semplice è far sì che il bambino, appena nato, abbia la possibilità di scoprire cosa gli gravita attorno. Io ho avuto la fortuna di ricevere l’imprintig da mio papà, infatti il primo impatto col mare l’ho avuto a tre anni. A quell’età cominciavo già a nuotare. E’ fondamentale avere dei genitori che ti stanno vicino e che ti aprono le vie del mondo, sono loro che danno l’impronta che ci accompagnerà per tutta la vita. Io mi ritengo un fortunato, perchè nel corso della mia vita ho sempre avuto accanto delle persone che mi hanno avvicinato al mare e che, soprattutto, mi hanno insegnato ad amare il mare. Voglio ricordare ancora Gianfranco Donati, un insegnante di educazione fisica appassionato di apnea. Non poteva insegnarla durante le ore scolastiche, quindi la insegnava fuori, al termine delle attività. Grazie a lui tutto mi è diventato più facile”.
Che cosa si può fare per stimolare le famiglie a prendere coscienza dell’importanza del fattore educativo?
“Avere la possibilità di essere seguiti dai propri genitori è molto importante, perchè ti aiuta a crescere meglio, con dei valori forti, legati al contesto socio-ambientale, al territorio di appartenenza. Sono convinto che mai come ora la famiglia abbia bisogno di essere sostenuta, valorizzata e potenziata”.
Lei da qualche tempo effettua lavori subacquei nel Mediterraneo come OTS (operatore tecnico subacqueo) qualifica che ha ottenuto nel 1991 a Genova.
“Una volta scoperto il mare ho cercato di viverlo a 360°. Verso i sedici anni ho avuto un maestro, Nino Di Bella, che mi ha iniziato ad andare sott’acqua con le bombole. E’ stata un’esperienza nuova, che mi è sembrata molto naturale, perchè avendo già vissuto l’apnea, che è la componente più complicata di vivere il mare, con le bombole tutto si compie in maniera molto più semplice. Il tempo della tua apnea è quello che ti permette di stare a contatto col mare, quindi i particolari che puoi notare sono pochi e bisogna avere la capacità di captarli subito. Le bombole ti permettono di stare sott’acqua per un tempo molto più lungo e quindi consentono un campo d’osservazione più ampio e approfondito”.
Ritiene importante la presenza di un cineoperatore come Attilio Costaguta, durante le sue immersioni?
“E’ fondamentale, soprattutto in un ambiente come quello marino che richiede abilità tecniche, conoscenze e attrezzature adeguate. Avere la possibilità di essere seguiti da una telecamera, utilizzata da un bravo operatore, significa poter trasferire al pubblico tutte quelle emozioni che tu in quell’istante stai vivendo, unite naturalmente alla bellezza dei fondali e delle loro creature. Nel campo della pesca subacquea sono stati fatti alcuni video, purtroppo però è molto difficile far capire agli altri che cosa succede realmente. Credo di poter affermare che la telecamera semplifichi un po’ troppo la condizione reale nella quale si trova il pescatore in apnea. In alcuni casi mancano disponibilità finanziarie adeguate per poter esprimere appieno tutto quello che avviene nelle profondità marine durante una battuta di pesca. Il primo che ha iniziato a filmare qualcosa è stato il grande Jacques Cousteau”.
Che differenza c’è tra scendere con le bombole o in apnea?
“Andare sotto con le bombole significa avere la possibilità di interagire con l’animale, terrorizzandolo. La prima cosa che fa l’animale terrorizzato è infilarsi in un buco ed è molto più facile riuscire a catturarlo. In apnea tu fai una caduta verso il fondo, rispettando il tuo tempo dell’apnea. Quando un pescatore professionista è molto allenato, il tempo a disposizione è di due minuti e mezzo e deve riuscire a fare tutto. Sarebbe molto importante, a proposito delle riprese subacquee, far capire ai giovani che cosa succeda realmente, avere delle sovvenzioni adeguate da poter dedicare alle riprese in video. Per fare una ripresa sulla terraferma i tempi tecnici sono molto più semplici, per fare la stessa cosa in mare le cose si complicano in una maniera incredibile, anche perché le attrezzature costano il doppio, devono essere scafandrate e inserite all’interno di apposite custodie e poi si è sempre legati ai tempi della cassetta. Per praticare attività di ripresa è necessario avere, come supporto tecnico, una barca di una certa dimensione e con determinate cartteristiche di stabilità”.
La scuola dovrebbe darvi la possibilità di poter far vivere ai ragazzi certe emozioni.
“Ci sono molti bambini che non hanno avuto la fortuna di avere dei genitori e dei nonni che gli siano stati vicini. Proprio per questa ragione è molto importante che ci sia qualcuno che trasferisca loro queste nozioni. Una volta, quando non c’era la scuola obbligatoria per tutti, il contadino imparava dal padre e dal nonno i tempi della semina e del raccolto, tutto viaggiava sulle ali della comunicazione orale e sull’esempio pratico. Il tempo scandiva le operazioni. Oggi la nozione del tempo è andata via via sfumando a causa anche della televisione, che in molti casi diventa uno strumento negativo perchè occupa la maggior parte del tempo libero dei giovani con contenuti non sempre educativi. Noi italiani stiamo perdendo le nostre tradizioni, è un fenomeno che tocco con mano durante i miei continui spostamenti sul territorio e che mi fanno riflettere con una certa angoscia, perchè mi rendo conto che gran parte delle nostre ricchezze non ha più chi le coltivi. Manca il racconto del vecchio, manca chi si prenda a cuore di comunicare le nostre tradizioni al mondo giovanile, manca la volontà di preservare quei tesori che sono stati per anni il sale della nostra sopravvivenza. Ben venga il progresso, ma se rispetta la nostra storia e la nostra civiltà”.
C’è chi critica la pesca professionistica in apnea, ma spesso i problemi veri sono altri.
“Sul monte di Portofino è stata creata un’area marina protetta in mare e un’area terrestre, però non si riesce a capire come mai in certe zone dell’area vengano accese le luci anche di notte. Sicuramente gli animali di quella zona subiscono un’aggressione luminosa di cui nessuno parla. Va sottolineato che in natura gli animali, per riposare, cercano il buio, noi stessi cerchiamo il buio, è un fatto del tutto naturale. Visto che è un parco naturale, facciamo veramente in modo che rimanga tale e che non si alteri per i soliti interessi particolari”.
Cosa pensa del fatto che alcuni sport vengano considerati più di altri?
“Tutto è sport, dalla passeggiata di mezz’ora alla maratona di New York. L’importante è che ognuno viva il suo sport senza porsi inutili quanto dannosi problemi di emulazione. Non tutti nascono campioni, ma tutti hanno la possibilità di praticare un’attività sportiva. Il fine dello sport deve essere quello di farci star bene con noi stessi e con la realtà che ci circonda”.
C’è stato un momento che le ha imposto una riflessione sul senso della vita?
Quando ho avuto l’incidente ho dovuto smettere di giocare a pallone. E’ stato il trauma più grosso della mia vita. In quel periodo avevo iniziato a fumare, cosa che per me era completamente nuova. Cercavo un’alternativa. Un giorno, il mio amico Armando mi è venuto a prendere e mi ha detto: “Vieni, che andiamo in mare”. Premetto che ero stato tutta la notte in discoteca e quindi ero stravolto, ma mi sono fatto forza e l’ho seguito. Ero a Sestri Levante, nel periodo invernale. Mi sono immerso e cos’è successo? Mi è venuto incontro un branzino. Avevo il fucile e l’ho colpito. Nel momento in cui l’ho colpito e l’ho avuto tra le mani, mi sono detto: ma cosa fumo a fare!. Siamo andati da Luchin a Chiavari a mangiarcelo e da quel momento non ho mai più toccato una sigaretta”.